Strategie, governance e buone pratiche per il riutilizzo sociale dei beni confiscati sono state al centro del convegno che si è tenuto a Torino, organizzato da Anci nazionale e Città di Torino, in collaborazione con Anci Piemonte.
L’incontro, dal titolo «Beni Confiscati alla Criminalità Organizzata: il Ruolo degli Enti Locali nella Governance della Rete Territoriale e il Coinvolgimento degli Enti del Terzo Settore», si è svolto in Sala Bobbio con la partecipazione di amministratori locali, rappresentanti del terzo settore e studiosi.
Il seminario, moderato da Antonio Ragonesi, capo area Sicurezza, Legalità e Giustizia, Servizio Civile di Anci nazionale, ha visto gli interventi, tra gli altri, del direttore dell’associazione regionale del Piemonte Marco Orlando, del vicepresidente di Anci e Sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto, delegato nazionale per la gestione dei beni confiscati, di Michela Favaro, vicesindaca di Torino, dell’assessore della Regione Piemonte, Maurizio Marrone, del prefetto di Torino, Donato Cafagna, e della sottososegretaria agli Interni Wanda Ferro.
Il convegno ha sottolineato come la gestione dei beni confiscati sia una sfida che coinvolge direttamente i Comuni, chiamati a costruire reti tra istituzioni pubbliche, terzo settore e realtà private, soprattutto nei centri più piccoli dove il fenomeno mafioso è spesso sottovalutato ma diffuso.
E in questa direzione sono state presentate esperienze concrete di recupero e riuso sociale dei beni, con particolare attenzione all’uso di strumenti di co-programmazione e co-progettazione. «Proprio nel giorno in cui ricordiamo l’assassinio del giudice Bruno Caccia – ha detto Steven Palmieri, sindaco di Alpignano, vicario di Anci Piemonte con deleghe a beni confiscati e legalità (foto a sinistra) – questo seminario ci ricorda che memoria e impegno devono camminare insieme. Il lavoro che Anci porta avanti sui temi della legalità e dei beni confiscati è una sfida culturale e amministrativa, che riguarda ogni territorio, dal più piccolo Comune alla grande Città Metropolitana. Trasformare i beni sottratti alle mafie in luoghi vivi, aperti e utili alla collettività è un gesto concreto di giustizia sociale. E lo è ancora di più se fatto in rete, con il protagonismo degli enti locali e il coinvolgimento del terzo settore. Portiamo avanti questa battaglia – ha concluso Palmieri – con determinazione, nel nome di chi ha sacrificato la propria vita per un’Italia più giusta. Come Bruno Caccia.»
Forti rimandi alle esperienze concrete di recupero e riuso sociale dei beni, con particolare attenzione all’assegnazione agli enti del terzo settore e all’uso di strumenti di co-programmazione e co-progettazione.I beni immobili confiscati alla criminalità organizzata si trovano in tutto il territorio italiano, con una concentrazione prevalente nel Sud Italia, fatta eccezione per alcune regioni del Nord come la Lombardia e Piemonte che presentano numeri significativi. «I beni confiscati alla criminalità organizzata – ha dichiarato il sindaco Buonajuto (foto a sinistra)– rappresentano uno strumento di sviluppo economico e sociale perché non sono soltanto un mezzo di contrasto contro i criminali, ma hanno un valore simbolico molto importante per i cittadini. La vera vittoria per un politico e per lo Stato non è tanto negli arresti dei criminali e nella confisca del bene, ma è nel rendere quel bene un luogo di rinascita e di inclusione, ‘vivo’ per tutti gli abitanti. Anci – ha continuato il cicepresidente – svolge un lavoro straordinario perché sta accanto ai Comuni, sia per quanto riguarda la proposta legislativa che per la capacità di gestire i beni confiscati cui va data una nuova vita per diventare luogo di inclusione. Appropriarsi di un bene che apparteneva alla camorra per poi lasciarlo abbandonato è un errore che rischia di generare nei cittadini un sentimento pericoloso di sfiducia che non ci possiamo assolutamente consentire. I Comuni vanno sostenuti e necessitano di linee di finanziamento aggiuntive per la gestione di questi beni. Solo così potremo far entrare la luce speranza dove prima regnava il buio della criminalità organizzata, trasformando il simbolo della sottrazione in un’autentica occasione di rinascita».
Tra le iniziative che Anci ha messo in campo Buonajuto ha ricordato la campagna social #RinasciLegale, per raccontare come i beni confiscati alla criminalità organizzata siano stati destinati a nuovi usi, garantendo servizi e spazi di socialità ai cittadini. «Sul sito di Anci e sui canali social sono disponibili i racconti e le esperienze su quanto realizzato nei Comuni, con l’obiettivo di diffondere storie positive che possano costituire un riferimento e un esempio di riscatto per i cittadini», ha concluso Buonajuto.
Ad oggi, in Italia, i beni confiscati sono oltre 23 mila (fonte Libera), di cui 14 mila già destinati agli enti locali e pronti per essere riutilizzati dalla cittadinanza. La prima regione in Italia per presenza di beni confiscati destinati è la Sicilia, con oltre 6 mila immobili. Secondo una ricerca di Libera, inoltre, sono più di 750 le realtà sociali che gestiscono beni confiscati. Tra queste, 400 sono associazioni non profit e di volontariato, oltre 180 sono cooperative sociali che prevedono il reinserimento lavorativo di persone con disabilità e 13 sono scuole di diverso ordine e grado, che riutilizzano i beni confiscati per le attività didattiche. I beni confiscati, infatti, rappresentano un’opportunità per sviluppare progetti sociali, culturali e di inclusione, contribuendo alla rigenerazione urbana e al rafforzamento del tessuto sociale locale.
In Piemonte, dove sono presenti 380 immobili confiscati (seconda regione del Nord Italia), la Regione e Fondazione Compagnia di San Paolo sostengono i Comuni con bandi dedicati al recupero e al riutilizzo sociale, ma il potenziale resta in gran parte inespresso: la Regione è ancora la terzultima per numero di beni effettivamente restituiti alla collettività.
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