La deliberazione n. 158/2020 di Arera in materia di agevolazioni alle utenze Tari per l’emergenza Covid-19 ha tutte le carte in regola per generare frizioni con i Comuni. In primo luogo perché l’Autorità ha scelto di intervenire non solo per fissare un quadro regolatorio, ma definendo anche il quantum che gli uffici tributi dovranno riconoscere in riduzione alle utenze non domestiche, per effetto delle chiusure stabilite dal Governo.
Le attività sono state ripartite in 4 gruppi:
quelle chiuse e già riaperte,
quelle ancora soggette a chiusura,
quelle che potrebbero risultare sospese,
quelle mai obbligate a chiudere.
Per le prime due categorie Arera ha stabilito che dovrà essere applicata una riduzione della parte variabile proporzionata al periodo di chiusura; sulla terza l’Autorità lascia mani libere agli enti territorialmente competenti, chiamati non si sa bene come a stabilire i giorni di chiusura cui parametrare l’agevolazione. Per le utenze non costrette alla chiusura, infine, saranno i Comuni a poter valutare riduzioni tariffarie, purché proporzionate ai minori quantitativi di rifiuti. Discorso differente per le utenze domestiche, per le quali Arera non collega l’agevolazione al principio «chi inquina paga». Ancora in attesa delle linee guida governative per il riconoscimento di un bonus sociale, l’Autorità concede la possibilità ai gestori (tra cui deve essere annoverato certamente il Comune) di riconoscere decurtazioni della tassa rifiuti alle utenze economicamente svantaggiate.Una facoltà che in realtà è già contenuta nell’articolo 1, comma 660, della legge 147/2013: la disposizione consente dal 2014 ai consigli comunali di introdurre con regolamento riduzioni non connesse alla produzione dei rifiuti, quindi consentendone lo scopo sociale, purché le stesse siano finanziate con risorse generali ed il mancato gettito non sia quindi ripartito sulle altre utenze. È proprio il nodo della copertura dei benefici delineati dall’Autorità a creare le perplessità maggiori: mancano infatti le necessarie indicazioni degli elementi volti al finanziamento degli oneri connessi alle misure di tutela descritte. Nella deliberazione si fa riferimento a un generico rinvio a successivo provvedimento e ciò genera ulteriori dubbi ai sindaci, chiamati in questi giorni a rispondere alle richieste che arrivano dal mondo produttivo e commerciale. La questione è determinante perché incide anche sui bilanci degli enti locali. Per le utenze domestiche la scelta potrebbe essere quella di spalmare i costi per riduzioni (in termini di mancati incassi) sull’intera platea dei contribuenti, in ottemperanza all’obbligo di copertura integrale dei costi del servizio, definito dall’articolo 1, comma 654, della legge 147/2013: tuttavia ciò imporrebbe a costi invariati rispetto all’anno precedente l’incremento tariffario per le abitazioni e le attività non sottoposte alle ordinanze di chiusura e c’è da scommettere che i sindaci non gradiranno una simile condizione, visto il momento difficile attraversato anche dalla componente domestica dell’utenza in questa situazione emergenziale. La soluzione potrebbe allora essere quella di una copertura extra, mediante l’individuazione di risorse diverse dal gettito Tari: un contributo dello Stato sotto questo punto di vista equivarrebbe a ossigeno puro per le casse comunali, già stressate per la crisi di liquidità che si prospetta anche a causa del rinvio delle scadenze di pagamento resosi necessario. L’Authority il 23 aprile scorso aveva chiesto un intervento del Governo e lo stanziamento di un contributo di 400 milioni di euro per coprire l’impatto delle riduzioni: le misure che saranno adottate non sono però ancora note e dovrebbero essere contenute con ogni probabilità nel prossimo «Decreto Maggio». Fino ad allora i Comuni potranno solo provare a fare i conti sulla base delle direttive dell’Autorità, che ha fissato le regole ma non si è preoccupata di chi dovrà pagarne il conto.