Dopo molti anni di surplus commerciale, a gennaio 2025 anche in Italia si registra un deficit di circa 264 mln di euro. Nello stesso mese del 2024 il surplus era di ben 5.280 mln di euro. Cos’è cambiato? Tanto. Le esportazioni sono calate (da 49,3 a 48,7 mld di euro) e le importazioni sono aumentate in misura significativa (da 43,5 a 49,0 mld di euro) a causa del maggiore acquisto (a prezzi più alti) di gas naturale (+24%) alternativo a quello Russo.
Giova evidenziare che l’Italia è tra i paesi UE che contribuiscono maggiormente alla bilancia commerciale europea e che, quanto al deficit di gennaio 2025, l’incidenza italiana è stata inferiore a quella degli altri paesi UE. L’Italia resta tra i principali esportatori al mondo di beni e di questo beneficia anche la bilancia commerciale dell’UE. Pertanto, la sterile guerra commerciale intrapresa dall’amministrazione Usa, con tanto di dazi di dubbia provenienza e che alimenterebbero il saccheggio dell’economia americana – affetta da ben altre patologie – impatta sull’Italia e sull’Europa. Una situazione assai delicata che dovrà prevedere una risposta europea ponderata ed acuta alla “supposta” reciprocità americana, alla quale il nostro Paese dovrà partecipare da leader in virtù della ricchezza generata dagli scambi. Il prospetto illustra il surplus italiano alla bilancia commerciale UE (Fonte: Eurostat).
Giova ricordare che la ricchezza di un Paese si misura anche in base al saldo commerciale. Nonostante l’Italia venda agli USA quantità inferiori a quelle vendute in Germania, il surplus commerciale generato dagli scambi con gli USA vale molto di più di quello tedesco. Inoltre, analizzando la genesi degli scambi commerciali, è pacifica la circostanza che la Cina assembli più di quanto produca, poiché gran parte dei semilavorati proviene da altri Paesi e spesso da aziende americane delocalizzate per esigenze di “ottimizzazione di costi”. Pertanto, la misura del commercio internazionale andrebbe determinata in termini di valore aggiunto, piuttosto che solo in termini di flussi commerciali lordi.
Ne consegue che il tema “dazi” è molto più complesso di quanto appaia e non può essere utilizzato solo per conseguire maggiori introiti erariali da deputare alla riduzione del debito pubblico o al maggior finanziamento dell’industria bellica. È un tema assai complesso che va maneggiato con cura, poiché alimenta incertezza, instabilità e speculazione. I dazi americani hanno infatti scatenato una tempesta perfetta sui mercati finanziari, causando il tracollo delle borse. E non è la prima volta che accade. Nel 2001, in occasione dell’attacco alle torri gemelle, si ebbero crolli dell’8%, nel crack Lehman del 2008 le perdite furono del 7%, durante la crisi del debito sovrano UE del 2011 si perse il 7%, con la Brexit del 2016 il 12% e infine con pandemia le perdite furono addirittura di circa il 17%. E, come già accaduto in passato, la turbolenza dei mercati – più o meno indotta – alimenta l’azione speculativa dei “cigni neri”. Pertanto, in un contesto così delicato in cui l’economia reale è legata a doppio filo a quella finanziaria, la parola d’ordine è calma e nervi saldi.
Antonio Salvatore
Coordinatore del Dipartimento Salute, Sanità e Assistenza di prossimità di ANCI Campania.
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