Raccolta rifiuti: sì alla riduzione TARI quando si prova la mancata effettuazione del servizio

I giudici di legittimità, con l’ordinanza del 22 settembre 2020 n. 19767, hanno affermato il principio per il quale, in tema TARI, la riduzione spetta per il solo fatto che il servizio di raccolta rifiuti, pur debitamente istituito ed attivato nel perimetro comunale, non venga poi concretamente svolto in una determinata zona municipale. Tale riduzione deve essere determinata, in mancanza di indicazioni del regolamento comunale, dal giudice del merito tenendo conto della distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona di fatto servita, incombendo sul contribuente l’onere di dedurre, allegare e provare la sussistenza dei presupposti per beneficiare di una maggiore riduzione, graduare ulteriormente la percentuale di riduzione applicabile, tenendo conto delle circostanze di fatto. In assenza di una richiesta specifica in tal senso o di una prova specifica dei presupposti per applicare la ulteriore graduazione, resta fermo che la riduzione dovrà essere applicata nella misura prevista dalla norma.
Il giudizio prendeva le mosse da un avviso di pagamento con cui l’ente locale chiedeva alla società contribuente, avente sede all’interno dell’Interporto, il versamento della TARI per l’anno d’imposta 2015, contestando la mancata effettuazione del servizio di raccolta rifiuti nell’area in cui essa operava. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo dovuta l’imposta nella misura ridotta del 15%. Proponeva appello il Comune e con sentenza della CTR, in riforma della sentenza di primo grado, il Collegio di seconde cure escludeva la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle riduzioni tariffarie di cui ai commi 656 e 657 dell’art. 1, L. 147/2013. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società contribuente, contestando la ritenuta inapplicabilità delle riduzioni tariffarie previste dalla normativa in tema TARI, ritenendo accertato che la società affidataria del servizio comunale non avesse mai effettuato, né effettuasse, alcuna attività di raccolta rifiuti nell’area interportuale. La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 19767 del 22.09.2020, ha accolto il ricorso della società contribuente, ripercorrendo le varie fasi del regime fiscale dei rifiuti a partire dalla TARSU prevista dal D.lgs. 507/1993, che ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, sino ad arrivare alla TARI, istituita dalla L. 147/2013 che, a decorrere dal 10 gennaio 2014, ha sostituito i preesistenti tributi.
Proprio in virtù di tale evoluzione, i giudici di legittimità ricordano che alla TARI sono estensibili gli orientamenti formatisi per gli omologhi tributi che l’hanno preceduta (ex multis Cass. 22130/2017; 1963/2018; 12979/2019). La TARI, destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti, è fondata sui presupposti impositivi del possesso o della detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali, ed è disciplinata in particolare dai commi da 641 a 668 della L. 146/2013, sulla base dei principi contenuti nei commi 252 e 254 di cui alla Direttiva 2008/98/CEE (art. 14) per cui “chi inquina paga”. È oramai consolidato l’orientamento in base al quale la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, in quanto «la ragione istitutiva del prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare gli interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti, e che pertanto l’omesso svolgimento, da parte del comune, del servizio di raccolta – sebbene istituito ed attivato – nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la conseguenza che il tributo è dovuto ma in misura ridotta.» (Cfr. Cass. 19653/2003; Cass. 21508/2005; Cass. 18022/2013; Cass. 14541/2015) “Anche la TARI, – Prosegue la Suprema Corte – come la TARSU, è pertanto caratterizzata indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che la disciplina, … con la conseguente doverosità della prestazione … avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente”. La pronuncia in commento conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato (Cfr. Cass. 2365/2019), essendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. In materia di riduzioni TARI rilevano i commi 656 e 657 dell’art. 1, L. 146/2013, che costituiscono una migliore specificazione delle riduzioni di tariffa già previste per la TARSU dall’art. 59 del D.lgs. n. 507 del 1993, rispettivamente ai commi sesto e quarto. Si è in presenza di riduzioni cosiddette “tecniche”, chiamate a regolare situazioni in cui si realizza una contrazione del servizio per motivi oggettivi ed a favore di una pluralità indistinta e generalizzata di utenti, i cui presupposti operativi sono dettagliatamente disciplinati dalla legge e vanno dunque riconosciute senza la necessità di una specifica e preventiva domanda che contenga l’indicazione delle condizioni per fruirne, incombendo sul contribuente il solo onere di provarne i presupposti normativi. Il Collegio con la pronuncia in esame afferma che, “quanto alla specifica riduzione del 40% di cui al citato comma 657, la stessa spetti per il solo fatto che il servizio di raccolta, pur debitamente istituito ed attivato nel perimetro comunale, non venga poi concretamente svolto in una determinata zona del territorio comunale, purché tale zona sia di significativa estensione”.
Tale zona di significativa estensione, rinvenibile in ambiti territoriali di estensione considerevole, i giudici di legittimità hanno ritenuto che in mancanza di espresse indicazioni del regolamento comunale, sarà compito del giudice di merito individuarla, non facendola però coincidere con le usuali estensioni dei parchi residenziali o dei condomini privati, ove la contenuta distanza dal punto di raccolta più vicino arreca, al più, una mera difficoltà di accesso al servizio. Ciò che non rileva è che la zona sia pubblica o privata, non essendo questo un presupposto costitutivo dell’istituzione del servizio ed è altresì irrilevante, la sussistenza dell’elemento soggettivo di colpa in capo all’amministrazione comunale, in quanto la riduzione tariffaria non opera quale risarcimento del danno per la mancata raccolta dei rifiuti, né quale sanzione per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di temperare l’imposizione entro la percentuale massima già individuata dalla norma, equilibrando l’ammontare della tassa comunque pretendibile (Cass. 22531/2017; Cass. 17334/2020). Nel caso di specie, il Collegio, in virtù del mancato svolgimento in fatto del servizio di raccolta, sussumeva il caso concreto nella fattispecie astratta di cui al co. 657 dell’art. 1 L. 147/2013, con il conseguente diritto alla riduzione quanto meno sino al 40% o nella misura inferiore, da determinarsi in relazione alla distanza della contribuente dal più vicino punto di raccolta comunale che spetterà al giudice del rinvio determinare.


Marta Mazzanti


 

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